luogo_e la zona metamateriale

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[2 marzo – 28 aprile 2018 * giovedì, venerdì, sabato: 14 – 18]
Inaugurazione venerdì 2 marzo, ore 18.30
Virginia Garra, Gabriele Longega, Eva Marisaldi, Giovanni Oberti,
Sara Ravelli, Joseph Beuys, Wisława Szymborska

 

Sii realista, crea l’invisibile.
Per il tecnico della parola, metamateriale è quel che va al di là del materiale.
Secondo lo scienziato invece il metamateriale è un materiale composito, creato artificialmente per ottenere proprietà fisiche peculiari.
Metamateriali specifici sono stati studiati per conseguire un effetto di invisibilità. Manipolando le traiettorie delle onde elettromagnetiche della luce, permettono l’occultamento completo di un oggetto, oltre alla sparizione della sua ombra. In casi simili, i metamateriali costituiscono un invisibility cloak, espressione inglese che rimanda nel contempo al concetto fisico e militare di dispositivo di occultamento, e al mantello dell’invisibilità come icona fantascientifica.

 

“Siate realisti, chiedete l’impossibile” scrive Albert Camus nell’opera teatrale Caligola (1936-58).
Questa frase è diventata il punto di riferimento dei manifesti poetici del Maggio francese nel ’68. In questo imperativo c’è tutto il romanticismo, la ricerca e la sfida delle giovani generazioni di allora e di tutti i tempi.
Parafrasando: siate realisti, create l’invisibile. Questa era la sfida che molti artisti delle avanguardie, già da qualche decennio, si erano dati. Affrancare l’arte figurativa dall’oggettività dell’esistente per affrontare l’enigma della realtà inesplorata dell’inesistente, del soggettivo e del profondo è stato il loro “impossibile”. La sfida a cercare l’invisibile sopravvive ancor oggi, seppur in altri termini, fino a divenire una prassi di vita per coloro che si muovono appartati e silenziosi nel vortice centripeto del sistema dell’arte.
Sottrarsi per affermare. La ricerca dell’invisibile a volte si incarna nel poco visibile e nel nascosto, a volte è in bilico tra la trascendenza e la scienza più speculativa.
Invisibile è quel che non si vede di ciò che abbiamo di fronte. A volte è solo percepito e alluso, a volte si tradisce e lascia qualche traccia. Le tracce del “poco” e del “quasi” che sono poi le opere degli artisti, che da sempre sono sostanza e apparenza e che da sempre, anche quando mostrano, celano.
Sono sempre metamateriali.

 

Nell’immagine:
Frame tratto da L’uomo invisibile (The Invisible Man), James Whale, 1933

 


luogo_e la zona metamateriale, veduta dell’installazione

 

H.G. Wells, L’uomo invisibile, Roma, Fanucci Editore, 2017

 

Eva Marisaldi, Senza titolo, 2005
porcellana, pigmenti, dimensioni variabili
courtesy l’artista

Un pugno di coriandoli gettati a terra. La traccia di un’azione effimera, la materializzazione di un gesto che difficilmente ci parla del suo autore. Ma la traduzione – dalla carta alla porcellana, da elemento ludico a opera d’arte – trasforma la riproduzione di una forma in un’affermazione.
I coriandoli sembrano ancora identici a se stessi. Eppure sono meno volatili, più fragili.

 

Gabriele Longega, Grandpa’s sweat cock, 2017
+ materiale di ricerca, parte di Subversive intent, 2017 – presente
passamontagna, magazine, fotografie, fotocopie, dimensioni variabili
courtesy l’artista

Un bosco in periferia, un luogo di cruising gay viene utilizzato dall’artista come residenza artistica per mesi. Vengono create in loco azioni, installazioni, disegni per esplorare la relazione tra la natura e i corpi umani che la abitano. Corpi che creano nuove mappe e nuove geografie mosse dal desiderio omosessuale si mimetizzano tra la vegetazione, aspettando di essere approcciati in un continuo stratificarsi di linguaggi e codici.

 

Joseph Beuys, Beuys auf dem Flug nach Amerika, 1974
cartolina, stampa offset, tiratura 100 copie, 14,7.10,5 cm
collezione privata

Nel 1974, durante il viaggio in aereo dall’Europa agli Stati Uniti, Beuys si copre il volto con un asciugamano.
Si fa fotografare, si mette in mostra nell’atto di sottrarsi alla vista.
Come a carnevale, quando ci si nasconde per essere riconosciuti.

 

Virginia Garra, Vensòn, 2014
video, 1920×1080, colore, 3:40 min
courtesy l’artista

Un uomo, solo, attraversa la città ogni notte tra il centro e la periferia.
Svolge il suo lavoro, sostituisce i rotor fino all’alba. Nessuno si accorge della sua azione.
Tra luci elettriche e superfici specchianti emergono frammenti delle pubblicità che bombarderanno gli immaginari del giorno seguente.

 

Sara Ravelli, Untitled, 2018
cemento, vetro, dimensioni complessive 70x70X12 cm
courtesy l’artista

Il tentativo di riprodurre la forma di un clasto di cenere osservato al microscopio elettronico.
A partire da una visione bidimensionale, l’artista cerca di rendere visibile ciò che è invisibile a occhio nudo e restituisce la sua natura di corpo, di materia tridimensionale, a una forma che l’occhio umano è abituato a riconoscere sotto forma di immagine.

 

Wisława Szymborska, Scoperta, dalla raccolta Ogni caso, 1972
due copie di Wisława Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009),
Milano, Adelphi, 2009

Wisława Szymborska crede nella grande scoperta, crede nell’uomo che farà la scoperta, crede nello sgomento dell’uomo che la farà. Crede nei suoi appunti bruciati, ridotti in cenere, bruciati fino all’ultimo.
Afferma che ciò riuscirà, che non sarà troppo tardi, e che avverrà in assenza di testimoni.
Nessuno lo saprà, ne è certa, né la moglie, né la parete, e neppure l’uccello – potrebbe cantare.

 

Giovanni Oberti, Senza titolo, 2009
chiodo in oro 18 kt,10 x 0,2 cm, ed. 3/3 + P.a.
courtesy l’artista

“Una scultura in stretto contatto con il luogo architettonico, penetra la superficie per impreziosirla, scompare dentro il muro lasciando visibile solo la testa come a voler passare inosservato. Dove lo spettatore ha solo la possibilità di immaginare.” (Marinella Paderni, dal comunicato stampa della mostra Placentarium, Placentia Arte, Piacenza, 2009)