Scritto nel 1881 e pubblicato per la prima volta nel 1897, L’uomo invisibile è uno dei capolavori dello scrittore britannico H.G. Wells (1866-1946), considerato fra i padri fondatori del genere fantascientifico.
Griffin, brillante fisico londinese, scopre un procedimento scientifico che rende invisibile la materia e, dopo i primi esperimenti, riesce nell’impresa di far scomparire il proprio corpo. Ma capisce subito che l’invisibilità non è priva di conseguenze. I suoi bisogni di essere umano non sono svaniti insieme al corpo, così Griffin è costretto a ricorrere agli espedienti più disparati per sopravvivere e portare a termine gli esperimenti per ritornare visibile. Le sue “apparizioni” in pubblico, se così si possono definire, scatenano il panico e la superstizione nelle piccole comunità britanniche presso cui sosta, che si trovano a misurarsi all’improvviso con un fenomeno al confine tra il magico e il soprannaturale.
Griffin dapprima mette a punto un grottesco travestimento per riottenere il suo statuto di corpo, ma ben presto inizia a sfruttare i vantaggi e le opportunità di prevaricazione che l’invisibilità del suo corpo nudo gli offre, diventando sempre più assetato di potere.
Proprio la lettura de L’uomo invisibile è stata il punto di partenza per la costruzione della mostra collettiva luogo_e la zona metamateriale. Nell’iniziale desiderio di invisibilità di Griffin si può leggere una metafora della condotta e dell’ambizione dell’artista che si fa invisibile, sparisce per via di sottrazione o di mimesi, ma che nel sottrarsi afferma, lascia dietro di sé delle tracce, delle impronte, i resti dei suoi gesti: le opere.
Nell’immagine:
H.G. Wells, L’uomo invisibile, Roma, Fanucci Editore, 2017