“Non finito (terme italien ; mot à mot : inachevé) :
caractère de l’ouvrage ou des parties d’ouvrage laissées à
l’état d’abbozzo. La notion est d’abord négative, mais à la
suite des initiatives de Michel-Ange, après 1500,
elle tend à être associée à la vigueur de l’inspiration (furor)
et se trouve ainsi valorisée.”
(A. Chastel, Le Grand Atelier, Parigi, Gallimard, 1965, p. 374)
Nel suo carnet di viaggio del 1829, Stendhal racconta di come un inglese, entrato a cavallo nel Colosseo mentre quest’ultimo era in fase di restauro, confuse le rovine romane con un cantiere in costruzione: “[…] il Colosseo è la cosa più bella che io abbia visto a Roma […] quest’edificio mi piace, sarà magnifico quando sarà finito”. (1)
Rovina e cantiere, questi due stati architettonici transitori possiedono delle affinità estetiche che animano la dialettica tra il non finito e il suo processo di creazione. La loro comprensione è dettata da una specifica proiezione del pensiero, in avanti o indietro: mentre il cantiere si definisce per “addizione” (creazione), la rovina si rivela per “sottrazione” (distruzione). Non una dicotomia, ma piuttosto una rete, il rapporto che li lega sembra costruito in alcuni casi su un circolo vizioso: “[…] la rovina genera il cantiere, mentre quest’ultimo è portato a cancellarsi. Le due operazioni, lontano dall’essere contraddittorie, si completano, […] il vecchio e il nuovo si mischiano in modo inestricabile all’interno di una visione che registra un paesaggio in piena mutazione”. (2)
Rovina e cantiere. Il loro dialogo genera spesso uno spazio transitorio e temporaneo che descrive un adesso che unisce il prima e il dopo di una condizione. Un luogo dunque in transizione che rappresenta la condizione intermedia tra due temporalità: una proiettata al futuro (il cantiere) e l’altra che rinvia al passato (la rovina). E nel mezzo, uno stato di calma apparente, o di rovina del cantiere: “[…] una rovina al contrario che, diversamente da quelle romantiche, […] non cadono in rovina dopo essere state costruite, ma si elevano a rovina prima di essere costruite.” (3).
Tra gli esempi contemporanei, il progetto di Alterazioni video, l’Incompiuto Siciliano, sembra dare forma a questo spazio transitorio, atemporale. Inteso come una cartografia fotografica e narrativa di più di 750 cantieri italiani abbandonati e mai finiti, questo progetto in progress racconta l’emergenza di strutture pubbliche non concluse, e denuncia l’abbandono di queste architetture ibride, nonché l’implicita trasformazione del paesaggio italiano. Come carcasse di un’architettura del non finito e dell’abbandono, queste rovine sembrano strutturare un’archeologia del futuro per cui immagini monumentali denunciano l’apparente fallimento di un processo creativo.
L’approccio estetico de l’Incompiuto Siciliano offre un nuovo modo per pensare queste infrastrutture non finite, considerandole come dei monoliti de-funzionalizzati che, se inseriti all’interno di un processo di creazione estetica, diventano dei veri dispositivi artistici. Questi scheletri architettonici abbandonati, eretti in mezzo a siti marginali, ibridi, e in paesaggi senza nome, diventano delle forme scultoree à part entière. Qui, il carattere di non finito è la condizione sine qua non che ne garantisce, paradossalmente, la realizzazione estetica e artistica. In altre parole, viste al di fuori di un contesto politicizzato, queste strutture sono estetizzate dalla loro stessa condizione di non finito.
In breve, questo progetto sembra fare del luogo transitorio, a metà strada tra rovina e cantiere, un dispositivo euristico dove la fotografia non fissa l’istante di un processo di costruzione (o di distruzione), ma testimonia invece la natura duale e ambigua di queste strutture. Costruzioni bloccate in uno stadio intermedio, in-finito, e simultaneamente, vere e proprie opere, sculture dall’estetismo finito. Che si tratti dunque di una rovina, di un cantiere, o della rovina di un cantiere, queste forme architettoniche non sono più da vedere come lo stadio transitorio di un processo in divenire, ma come lo stadio ultimo di un processo creativo, dove la condizione di unicità artistica si rivela proprio grazie al carattere non finito.
Finire l’in-finito.
Note:
(1) Stendhal, Promenades dans Rome (1829), Parigi, Gallimard, 1997
(2) Quentin Bajac, “Grounds Zero”, Ligeia (Vol. 23, n°101-104, lug.-dic. 2010), pp. 132-134
(3) Robert Smithson, “A Tour of the Monuments of Passaic”, Artforum, dic. 1967
Fotografia: Pamela Bianchi
in Ésthetique, Sciences et Technologies des Arts dell’Université Paris 8.
Dal 2013, é ricercatore membro del laboratorio AI/AC dell’Université Paris 8.