(_e letti altrove)
a proposito di Sotto il Beaubourg, lettura scelta da luogo_e per la mostra Alicom, la ricetta
Sotto il Beaubourg (SB) è stato pubblicato a Parigi nel 1976 per i tipi delle Editions Entente.
Oggi compirebbe 42 anni (trenta l’edizione italiana edita da Eléuthera nel 1988.).
Noi lo riproponiamo alla lettura e alla riflessione non tanto per quello che dice, ma per quello che vuole essere: un sogno ad occhi aperti. SB diventa, quindi, per noi la riaffermazione della necessità dell’Utopia.
E l’Utopia non è irreale, ma metafisica, adatta la realtà al desiderio.
SB è un documentario immaginifico, nello stesso tempo concreto e terreno, è lucido nelle analisi delle situazioni, non è ingenuo o impreparato, è, per scelta, fiducioso e positivo.
SB è un’utopia sognata, è cristallina leggerezza, è diafana luminosità. Non priva di spigoli e asperità, ma che, come per incanto, si spuntano e si superano.
[Chi tra noi ha vissuto quegli anni ed esperienze analoghe anche se minori e meno radicali, sa che saranno proprio le difficoltà insuperabili nella realtà a minarle e affossarle.]
L’utopia di SB sta nell’immaginare che proprio sotto il Beaubourg ufficiale, massimo tempio, anzi fabbrica o macchina dell’arte contemporanea (per usare metafore più gradite in quegli anni) esista un altro Beaubourg.
Nota bene: sotto, non di fianco o altrove, ma proprio sotto, per ribadire che il “terreno” è comune ad entrambi, ma che se il primo è visibile e trionfante alla vista, il secondo è nascosto ed invisibile, come le radici dell’albero.
A differenza delle radici, però, il suo compito non è quello di portare linfa al tronco e ai rami.
Il terreno è comune ma la direzione è opposta: uno si eleva al cielo, l’altro si sprofonda nella terra.
(Torre rovesciata? Imbuto dantesco?)
Uno tende a svaporare nei fumi della fabbrica, l’altro cerca la sostanza della materia.
L’utopia di SB non sta nella progettazione di una città sulle nuvole come ne Gli uccelli di Aristofane, non sta neanche nell’ipotizzare un embrione della “Città” di Campanella, sta nel sogno che si vorrebbe vero di un luogo dove sperimentare forme di vita, di relazione e di espressione; un luogo dove dalla sapiente combinazione di libertà e immaginazione nasca (generi, germogli) un’arte nuova.
Noi oggi, invece, viviamo gli anni del disincanto nei quali è già difficile sognare ad occhi chiusi. Immaginare è ritenuta un’occupazione da perditempo; e se anche gli artisti si sono votati, per i più, allo spettacolo, al business, quale sarà la figura sociale che cercherà di dare corpo all’immaginazione?
Il nostro SB, un SB adatto ai nostri tempi, è tutto da inventare.
Probabilmente non sarà più un luogo fisico, non sarà unico ma plurale. Forse germoglierà dalla rete o forse no. Ognuno di questi sarà incompleto, una faccia di un poliedro irregolare di X facce.
Forse sarà solo uno stato d’animo, forse un modo di essere confuso con altri modi di essere intenti a fare e creare. Forse questi simili saranno accomunati da una prassi e da una fede.
Il nostro SB nascerà dalla frantumazione e dalla diaspora alla ricerca di una unità. Intento ad unire schegge e frammenti, a decifrare segni, a sommare pixel che sappiano dare forma a un’immagine, primo alfabeto di un’arte che sappia essere, in qualche modo, diversa.
[luogo_e sogna spesso e al risveglio non si deprime. Cerca attorno a sé brandelli del sogno.]
Nota:
2 o 3 cose che so di lei è il titolo di un film di Jean-Luc Godard del 1967, storia di una coppia, ma, sottotraccia, anche della città di Parigi.
Nell’immagine:
Manuela Manzini, Ai piedi del Beaubourg, 2018
Luciano Passoni
Di formazione artistica, ex insegnante, ex libraio.